“Settantadue” di Simone Pieranni. Di Gerardo Iandoli (da Rivista! Una specie*)
Il testo di Simone Pieranni, pubblicato da edizioni Alegre nella collana Quinto tipo diretta da Wu Ming1, è il racconto in prima persona di uomo che soffre di reni policistici e che è costretto, per sopravvivere, a recarsi in un ospedale ogni due giorni, per quattro ore, per pulire il proprio sangue attraverso la dialisi. Inoltre, è il racconto di un uomo che, nonostante la malattia che lo rende dipendente da una macchina, viaggia per l’Italia e per il mondo, attraversando Genova (la città natale), Roma e Shanghai. Il viaggiare lo porta a incontrare varie persone, varie storie, vari miti, di cui Pieranni ci fornisce uno stralcio.
Ma è anche un testo sulla “complessità”, se per quest’ultima si intende la consapevolezza che ogni cosa sia connessa con qualcos’altro, che una minima variazione in un sistema, comporta delle conseguenze su una qualsiasi altra parte di quel sistema. E questo accade a tutti i livelli: Pieranni deve calcolare tutto nella sua vita, ogni suo movimento e azione dipende da tanti fattori: viaggia, ma deve muoversi affinché possa sempre vivere accanto ad un ospedale; deve stare attento a ciò che mangia, soprattutto alla frutta, per non fare alzare il pericoloso livello del potassio; non può bere molta acqua, poiché non è capace di espellerla come tutti gli altri; deve sottoporsi a un’operazione al cuore, poiché la sua malattia condiziona l’intero suo corpo. Ma se Pieranni, con la sua stessa esistenza, ci mostra come ogni singolo uomo dipenda da tantissimi fattori, il testo va oltre e parla di come la storia e la società dipendano da elementi che a volte possono sembrare in ombra o lontani: ad esempio, la storia dell’Italia dipende dalla violenza e dalla voglia di riscatto di alcuni ragazzi di un quartiere periferico di Roma, che arriveranno a controllare la criminalità della capitale e a condizionare la vita politica italiana (la banda della magliana); oppure la Cina, che attraverso il suo status di nuova potenza economica mondiale, potrebbe far pagare all’Occidente tutto il male che le è stato fatto durante la Guerra dell’oppio.
Nonostante tutta queste serie di connessioni, il narratore sembra volerci dire che non è impossibile essere liberi: per quanto le cose possano dipendere da molte altre fino a definire una catena, a volte molto pesante da sostenere, c’è sempre la possibilità di fare delle scelte per la propria vita, di poter condizionare il corso del proprio destino. E Pieranni, con la sua malattia, non rinuncia al viaggio, non si lascia limitare dalla macchina della dialisi: si muove attraverso i continenti, per cercare di capire i vari legami tra le cose, senza rinunciare ai piaceri. Ma, allo stesso tempo, con il suo romanzo, cerca di dare un senso a questi «appunti sparsi, episodi affogati in tempi» che ha difficoltà a ricordare, per contrastare «l’onanismo totale di questa società che ha ucciso la narrazione». Non importa se quanto ci dice sia reale o frutto della fantasia, ad interessarci è ciò emerge da questo quadro: il profondo desiderio di non rinunciare al senso, alla possibilità di mettere in collegamento i fatti e le cose affinché possano essere narrati e spiegati. E nell’impossibilità di avere una comunità o una forza superiore capace di avvalorare la verità del proprio discorso, non resta che al singolo assumersi la responsabilità del proprio senso, nonostante tutti i limiti e dolori della propria condizione umana.
*Fonte: http://www.rivistaunaspecie.com/recensione-settantadue-simone-pieranni-edizioni-alegre-2016/