Soggettività costrette e orizzonti di riscatto. La nuova armata antifemminista in Europa – Beatrice Innocenti da “Il lavoro culturale”
Oggi, in Europa e nel mondo, si respira una nuova aria di lotta politica che vede come protagonista un femminismo transnazionale capace di opporsi ai rigurgiti arcaici del patriarcato, del neoliberismo, del nazionalismo, del colonialismo, del razzismo e della devastazione ambientale. Dopo il torpore degli anni passati le piazze sono tornate a essere luoghi di lotta, di rivendicazione di tutele economico-sociali e di libertà. Da quel giugno 2015, quando le donne argentine scesero in piazza per manifestare contro la violenza di genere, ogni 8 marzo le donne di tutto il mondo si mettono in marcia per combattere insieme contro l’universalismo patriarcale.
Eppure, se da una parte il femminismo è tornato a essere attore politico, dall’altra assistiamo allo strutturarsi di una nuova pericolosa alleanza: quella tra neoliberismo, neofondamentalismo (cattolico e laico) e destre estreme; coalizione tutta contemporanea che trova nel movimento femminista internazionale il nemico ideologico, politico ed economico.
Il volume raccoglie i saggi di nove studiose/i che, partendo da prospettive diverse, analizzano la condizione delle soggettività delle donne contemporanee: costrette, determinate e prodotte entro nuovi e subdoli meccanismi di controllo. La lettura dei saggi offre una visione articolata e chiara dei reiterati attacchi scagliati all’autodeterminazione delle donne e ci permette di orientarci nel panorama delle nuove battaglie politiche che si giocano proprio sui nostri corpi. Corpi non neutri, ma incarnati, sessuati, spesso reificati: corpi che non sono esclusivamente dati biologici, ma oggetti politici, poiché su di essi si impongono meccanismi e volontà di dominio e di controllo.
Spazi politici bramati dalla nuova alleanza tra neoliberismo e neofondamentalismo, spazi che devono essere costantemente normalizzati e messi a profitto. Corpi irretiti da una volontà di assoggettamento travestita da possibilità di autodeterminazione.
Nel libro emerge con potenza l’attacco che le donne e i loro movimenti di liberazione subiscono da fronti diversi, apparentemente lontani ma strutturati in un unico progetto: annichilire la spinta sovversiva del femminismo o risignificarne i messaggi e le rivendicazioni. Le destre europee, sorrette dai neofondamentalismi di ogni tipo – siano essi politici o religiosi –, vogliono decidere della sessualità e dei ruoli delle donne; il neoliberismo, con i tagli allo stato sociale e la narrazione dell’individuo, sfrutta i corpi come meri oggetti da cui estrarre profitto; la giurisprudenza è incapace di riconoscere la dignità dei corpi, quando questi sono vittime di offese e violenze. La politica, nazionale e locale, non comprende l’importanza dei movimenti come autentici costruttori di spazi di cittadinanza e militanza attiva.
Forse alcune di noi avevano sperato – ingenuamente – che le battaglie politiche e civili degli anni Settanta avessero consegnato delle libertà ormai indiscutibili, quantomeno in alcuni paesi e per alcuni temi, quali l’aborto e il divorzio; invece ci si trova a dover lottare nuovamente contro il fronte oscurantista perché i diritti non siano erosi e le libertà cancellate. L’Europa dei diritti è sotto attacco, basti pensare alla Spagna, alla Polonia, al Portogallo e all’Italia, dove formazioni di estrema destra cercano di limitare e condizionare l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza. Ci si era illuse che sul terreno delle libertà non si potesse tornare indietro e invece, come analizza Lidia Cirillo nel suo contributo al volume, «bisogna prendere atto della fine dell’illusione liberale». Non solo dobbiamo comprendere che, politicamente, il liberismo economico non è garanzia di libertà e autodeterminazione, ma dobbiamo accettare che l’intera forma classica di governo liberale è in crisi e con esso tutte quelle libertà formali e civili che eravamo solite/i considerare come sue appendici. In assenza di un ripensamento dell’agire politico, il neofondamentalismo monopolizza la scena pubblica, demonizzando aborto, divorzio, matrimonio omosessuale e tutte quelle battaglie culturali che hanno come obiettivo l’autodeterminazione e il riconoscimento delle soggettività plurime, non eterosessuali e non aderenti alla norma nel senso tradizionalmente inteso.
A partire dalle problematiche analizzate da Lidia Cirillo si sviluppa il saggio di Silvia Brignoni, che offre una lettura critica del film Aborto, le nuove crociate di P. Lorton, A. Jousset e A. Rawlins-Gaston. Oggetto della riflessione è la battaglia contro l’interruzione volontaria di gravidanza che è in corso oggi in Europa: battaglia che colpevolizza chi decide di abortire e che dimentica chi ha perso la vita a causa di un aborto clandestino. Battaglia feroce e pervasiva, che utilizza come arma un linguaggio sdrucciolevole: accanto alla colpevolizzazione di coloro che ricorrono all’Ivg troviamo la santificazione della maternità e della gestazione, come vera e unica scelta autentica, destino obbligato della donna.
Linguaggio che diventa chiave di comprensione del saggio di Massimo Prearo L’opzione populista anti-gender, battaglia portata alla ribalta dal cattolicesimo identitario e dal nazionalismo neofascista, movimenti che – sulla risignificazione del termine “gender” – hanno strutturato la loro battaglia ideologica. La lotta al “gender” passa attraverso la limitazione delle libertà sessuali e attraverso il ricorso ideologico a forme sociali da salvaguardare: prima tra tutte la “famiglia tradizionale”. Nel proprio saggio Prearo sottolinea che, in questo progetto transnazionale, l’obiettivo specificatamente italiano dei cristiani del terzo millennio è quello di risvegliare il laicato cattolico e fecondare la politica.
Di questa volontà di sola «contaminazione della politica, senza farsi Politica» del discorso pro-life, si occupa Claudia Mattalucci, che analizza le nuove modalità di propaganda dell’attivismo antiabortista. L’ideologia pro-life utilizza pubblicità e discorsi nei quali all’assoluta disumanità dell’aborto si contrappone la serena naturalezza e conseguente felicità di chi sceglie di portare avanti la gravidanza. In questa crociata, i movimenti pro-life cercano di appropriarsi di spazi pubblicitari, consultori e indagini scientifiche, pur di dimostrare l’assoluta dannosità e/o mostruosità che comporterebbe la scelta dell’Ivg. Demonizzazione e santificazione che spostano il discorso sull’aborto dal piano del diritto a quello dell’emotività, smuovendo tutti quei pregiudizi che sopravvivono ancora oggi nei meandri più oscuri della nostra coscienza.
Pregiudizi che condizionano i dibattiti attuali attorno alle possibilità legate al biolavoro riproduttivo. Ilaria Santoemma analizza «la problematicità delle nuove scoperte biotecnologiche di fronte ai concetti moderni di vita, natura e norma», mettendo in evidenza come – per quanto riguarda i diritti riproduttivi – il terreno d’indagine è scivoloso: rischiamo di venir risucchiati dai vecchi discorsi neofondamentalisti cattolici che, esaltando la Natura ed utilizzando potenti e persuasive narrazioni, abbracciano il proibizionismo; dall’altra potremmo venir assorbiti dal meccanismo biocapitalista, il cui fine è lo sfruttamento delle soggettività partendo dalla vita stessa, fin dalla produzione della riproduzione, ad esempio. Neofondamentalismo e biocapitalismo non sono altro che opposti – ma identici – volti dell’oppressione: meccanismi di condizionamento e controllo, che come fine ultimo giungono a limitare la nostra capacità di autodeterminazione.
Anche Carlotta Cossutta scrive a proposito dello sviluppo del sistema capitalistico, concentrandosi sul lavoro a domicilio. Cossutta analizza il problema della mancanza di riconoscimento e tutele del lavoro domestico e riproduttivo. L’imporsi del biocapitalismo, il quale apre i propri confini alla vita stessa, modificando i limiti classici tra pubblico e privato, rendendo la casa il luogo di «riproduzione di tutti gli stereotipi del lavoro femminile, dall’invisibilità alla gratuità».
Stereotipi e invisibilità che sono oggetti di analisi del saggio di Eleonora Cirant, la quale affronta le difficoltà delle donne che scelgono di denunciare le violenze e i soprusi di cui sono vittime. Donne che si ritrovano sole in una società profondamente sessista e di fronte a una giurisprudenza incapace di riconoscere che – per quanto riguarda le violenze – le donne sono vittime in quanto donne e che la partita si svolge quindi sul piano di una diseguaglianza tutta strutturale alla composizione culturale e sociale.
Romina Amicolo si occupa della violenza di genere e della sua silenziosa accettazione, espressione di una società fortemente patriarcale in cui le donne, ancora oggi, sono socialmente, culturalmente e giuridicamente vulnerabili. Condizione che si traduce nella mancanza, per quanto riguarda la giustizia penale italiana, di uno specifico sistema di intervento per contrastare la violenza di genere ed una conseguente impunità degli aggressori. «Se le donne oggi sono il nemico dell’integralismo religioso e politico e dell’accumulazione capitalista», ancor più lo sono le donne migranti, sulle quali si sedimentano, incrociandosi, stereotipi di genere e stereotipi razzisti, che le rendono ancor più ai margini e doppiamente discriminate e vittime.
Il testo si conclude con il saggio di Roberta Paoletti, che scrive a proposito dello sgombero e dello sfratto degli spazi femministi che sono luoghi di azione e creazione politica, di condivisione della coscienza femminista, di possibilità di tutela legale e supporto, nonché di diffusione culturale nella realtà romana: la Casa Internazionale delle Donne, Lucha y Siesta, e il Centrodonna Lisa.
I saggi e l’intero libro costituiscono quindi un doppio percorso: di analisi delle intricate alleanze e delle vicende presenti, da una parte, e di necessaria presa di coscienza politica, dall’altra. Emerge quanto sia urgente la necessità di prendere parte alla lotta femminista prima che i linguaggi delle lotte delle donne siano svuotati di senso, prima che le rivendicazioni siano strumentalizzate dalla persuasività rassicurante dell’ideologia neoliberale. E ancora, prima che i nostri diritti vengano negoziati in vista di un fantomatico bene superiore e prima che i nostri corpi vengano fagocitati dal riproporsi “rimodernato” dei meccanismi di dominio. Spinte dall’entusiasmo della marea transfemminista che ha invaso le strade d’Europa e del mondo, e intimorite della prepotenza dei neofondamentalismi, è il momento adatto per scegliere di diventare parte attiva del movimento femminista transnazionale e questo libro ne è proprio un invito, un’esortazione politica.