Sogni e paure tra le pagine di una lotta operaia – Fulvio Paloscia su “la Repubblica”
Il racconto della vicenda Gkn di Valentina Baronti che aiuta i lavoratori nella comunicazione di una lotta operaia
di Fulvio Paloscia – La Repubblica Firenze del 7 febbraio 2024
Valentina Baronti ha incontrato per la prima volta gli operai della Gkn nella maledetta estate del 2021. Quella in cui oltre 400 lavoratori della fabbrica di semiassi di Campi Bisenzio vennero licenziati via mail. Vicedirettrice del giornale di strada Fuori binario, collaboratrice di Novaradio e di altre testate, ha documentato una storia che ha destato scalpore non solo per l’alto numero di lavoratori coinvolti o per le modalità con cui l’azienda ha deciso di disfarsi di loro, ma anche per l’esempio diverso di lotta che è stato messo in atto dal collettivo di fabbrica. Una lotta operaia 2.0 che dal capannone si è estesa alla città in tutti i suoi ambiti. E che ha finito per inghiottire anche la stessa Valentina: oggi aiuta gli operai nella comunicazione. E ha scritto un romanzo, La fabbrica dei sogni (Alegre), a futura memoria di una storia esemplare.
L’autrice si è resa conto che le vicende della Gkn sarebbero potute diventare narrazione «quando la fabbrica ha ospitato la prima edizione del festival dedicato alla letteratura working class — racconta — In quell’occasione ho capito che avrei potuto dare forma a certi appunti presi per pubblicare qualcosa che sarebbe servito ad altri, ben oltre il lavoro giornalistico. Avrei potuto scrivere ad esempio delle tante emozioni che la lotta degli operai ha scatenato, a partire da me». Poi, lo slogan partigiano che l’assemblea permanente si è data — Insorgiamo! — e la domanda disarmante che un operaio porse ai compagni e alla città agli esordi della lotta — e voi come state? — al posto di recriminazioni gridate, «hanno spinto gli operai e i solidali, come me, a interrogarsi sulla propria vita, al di là degli obiettivi di una vertenza sindacale». Ma c’era anche un aspetto di ordine, di linearità, di chiarezza che la struttura romanzesca avrebbe potuto dare alla vicenda Gkn: «È come se il racconto sistemasse le cose che, nella realtà, appaiono complesse. E ha anche la capacità di tirare fuori da ogni lettore ciò che della storia può essergli utile. Mia madre, ad esempio, leggendo La fabbrica dei sogni è rimasta colpita dal fatto che io, laureata, non sia riuscita a vivere grazie al lavoro a cui aspiravo, il giornalismo. Al precariato troppo duro ho preferito la stabilità, e l’ho trovata in Comune. Sono contenta, perché ho un confronto continuo con gli altri, anche con chi la pensa come me. Mia madre, invece, ha vissuto questa mia rivelazione come una sua sconfitta».
Valentina si è “nascosta” dietro Agata, la protagonista del libro. Con lei condivide le origini familiari contadine, il percorso personale di militanza che nel tempo si è affievolito, ma che alla Gkn ha trovato nuovo entusiasmo: «Quando io ho compiuto 18 anni — spiega l’autrice — il Pci già non esisteva più ed era impossibile riagganciarsi alla concretezza della sinistra storica. Quindi ho scelto il social forum come esperienza di formazione politica, salvo poi veder sgonfiarsi pure quello. Alla Gkn ho riabbracciato le istanze del forum calate però nella concretezza del mondo del lavoro, della famiglia, del futuro». Ed è anche grazie a questa rivelazione che il romanzo va e viene dal singolare al collettivo, dall’io al noi, dal presente storico al passato familiare, inceppando come una bella anomalia il modo in cui la narrativa italiana ha trattato il tema del lavoro in fabbrica: «Sono arrivata alla Gkn non da operaia ma da solidale, e quindi non conosco l’alienazione della catena di montaggio, cara a tanti romanzi. I lavoratori per primi si sono tenuti lontani da quell’alienazione, attraverso battaglie sindacali che hanno avuto obiettivi peculiari rispetto alla norma. Come la possibilità di avere più momenti riservati alla vita privata. Lo hanno detto più volte: loro non sono quelli che vivono per lavorare, ma il contrario. Il fatto stesso che la loro lotta contro i licenziamenti abbia trovato sponda in canzoni, spettacoli teatrali, documentari e ora anche in un romanzo testimonia una curiosità degli operai tale da aver intercettato il bisogno di realtà e di militanza autentica della cultura, rimasto senza risposta per troppo tempo».
Una parte epistolare e il racconto di sogni alternano la narrazione più classica degli eventi, in cui Agata segue l’evolversi della vertenza Gkn ma mette anche in gioco se stessa, la sua storia, il suo corpo: «Nei sogni ho voluto riportare il punto di vista degli operai, parlare dunque di sentimenti e emozioni che non sono le mie e che mi pareva supponente narrare come se invece lo fossero. Le lettere sono rivolte ai giovanissimi, nati nel precariato e probabilmente destinati a rimanervi: ci tenevo che il libro parlasse alle nuove generazioni prive di punti di riferimento (a cominciare dalla scuola e dai professori, che dovrebbero offrire un punto di vista alternativo a quello offerto dalla famiglia) e persino del racconto di un mondo che aveva stabilità, sicurezza. Mi piacerebbe che il mio romanzo desse qualche strumento ai ragazzi per interpretare la realtà, per incrementare il loro spirito critico e evadere dalla prigione del pensiero unico».