Stefano Galieni su Liberazione
NESSUNO SCONTRO DI CIVILTA’, MA SOLO BARBARIE E TERRORISMO
di Stefano Galieni
Gilbert Achcar è un intellettuale poco adatto a questi tempi. Il tema di cui si occupa è il contesto di guerra globale in cui si è immersi e tocca corde molto sensibili. Abituati come siamo a interpretare tutto secondo logiche binarie – bene /male, civiltà superiori/inferiori – dà fastidio incontrare qualcuno che a differenza di Huntington o Fukuyama, tanto per citare nomi noti, cerca di analizzare e comprendere utilizzando non solo le proprie coordinate interpretative. Un lavoro scomodo, che porta a guardare nei tanti armadi pieni di scheletri di cui è piena la storia e la politica delle potenze dominanti, ma che non fornisce nel contempo alcun alibi alle logiche reazionarie, fasciste non solo nei metodi ma nella proposta politica e nel substrato culturale e sociale di Al Qaeda.
Nel volume Scontro fra barbarie, terrorismi e disordine mondiale (Ed. Alegre pp. 176, euro 15,00) l’autore smonta i tasselli che permettono ancora di parlare di “scontro di civiltà”. Si parte dal post Guerra fredda, si risale alle modalità di intervento durante la Seconda guerra mondiale, in Germania e in Giappone, alle opposte visioni della politica estera enunciate per coincidenza dai due cugini Roosevelt che governarono gli Stati Uniti in epoche diverse – Thedore, ad inizio del ventesimo secolo e Franklin Delano, fra le due guerre mondiali – si arriva agli orrori di Falluja, di Abu Ghraib, e alla logica egemonica delle ultime amministrazioni americane. Si scardinano le motivazioni ideali con cui vengono motivate imprese belliche realizzate per il controllo delle risorse energetiche, ma non ci si ferma ad una facile demonizzazione. Achcar entra nelle dinamiche che hanno portato all’instaurazione di regimi teocratici in paesi chiave come l’Arabia Saudita, a cui non si chiede alcuna forma di reale democratizzazione. E’ questo il mondo visto da chi domina.
Ma è un agire da apprendisti stregoni: il presentare un simile regime come avamposto di difesa della civiltà, ha fatto crescere il virus dell’odio antioccidentale su cui si è indagato poco è male. «Perché?». E’ la domanda che pone ogni sanguinoso attentato che ha colpito le nostre metropoli. Comodo pensare che l’odio sia rivolto al nostro sistema di vita, alla corruzione morale derivante dalla nostra secolarizzazione. Molto più indigesto accettare che dietro ad Al Qaeda, come ad Hamas in Palestina, si celino una frustrazione ed una rabbia per i propri luoghi santi violati, per le proprie risorse rapinate, che si traduce in prospettive reazionarie. Il ritorno ad una Sharia proposta da una composizione sociale eterogenea ma guidata per lo più da quei ceti medi pauperizzati e senza futuro, da strati di sottoproletariato privi di qualsiasi punto di riferimento altro. Una analisi che si richiama a Marx ma che non sprofonda in un approccio neocolonialista ed eurocentrico. Si prova a guardare ciò che accade non solo in base agli epifenomeni ma considerando i contesti storici economici e sociali, senza la pretesa di tradurre tutto ad un unicum generalizzante. L’integralismo come neo fascismo – fatte salve le infinite differenze storiche e geografiche – che si rapporta a forme altrettanto fondamentaliste di intendere la quotidianità, i rapporti sociali e di classe, che oggi governano e imbarbariscono gli Stati Uniti d’America. Le stesse figure di Osama Bin Laden o Al Zarkhawi, vengono inquadrate non come banali incarnazioni del “Male assoluto” ma in uno scellerato agire politico frutto di azioni e di reazioni.
La tesi di fondo è che le civiltà e il loro sviluppo, trascinano e portano con se una condizione latente di barbarie. Quando lo spazio della politica, la stessa possibilità di considerare come paritarie le diverse esigenze, muore, in funzione di un disegno egemonico che vuole solo sudditi, il terreno resta quello dello scontro sanguinoso e deflagrante. Ognuno mantiene l’occhio compassionevole davanti alle proprie vittime, siano esse cadute a Falluja o perite l’11 settembre, e ignora, rimuove le vittime altrui. Cadono le limitazioni del diritto, si muore e si fa morire con una costante ed esponenziale tendenza alla catastrofe. O si sta da una parte o dall’altra. Vince l’eccitazione dell’hubris, dell’ebbrezza da combattimento, ci si accanisce contro l’avversario, ignorando o volendo ignorare che la dea della vendetta è pronta a colpire, con la stessa speculare crudeltà. Una visione cupa del presente, ma il presente è cupo anche se c’è chi ancora si ostina a dire che si sta per aprire un’era di progresso democratico anche per le società che sono oppresse da tirannie teocratiche. La vittoria popolare (democratica) di Hamas in Palestina, le ennesime dichiarazioni guerrafondaie dell’amministrazione Bush nei confronti dell’Iran, costringono a pensare al contrario.
Le riflessioni di Achcar, pubblicate in questo libro, aggiornato per la versione in italiano, non lasciano alibi a nessuno, non “tifano” né per improbabili alfieri della democrazia e della civiltà ne per “antimperialisti” dediti alla bassa macelleria. Pongono problemi a chi, da una parte o dall’altra del mondo, è sull’orlo del baratro e non vuole cadere.