Stradario hip-hop di Nexus – Elisabetta Favale da “Linkiesta.it”
da Linkiesta.it
Ho impiegato moltissimo a leggere questo libro e non solo perchè è bello lungo, ma anche perché è molto distante dalle cose che leggo solitamente, mi sono dovuta documentare e andare oltre quel che credevo di sapere su sull’Hip Hop e tutte le sue declinazioni.
Il “giorno zero” dell’Hip Hop si è individuato nell’11 agosto 1973: siamo a New York, nel Bronx, una ragazzina decide di organizzare una festa in casa, al 1520 di Sedgwick Avenue, e permette a suo fratello maggiore di esibirsi per la prima volta come Dj. Lui arriva con due giradischi, un mixer e una nuova tecnica che permetteva di mettere in loop le parti più ritmate dei dischi creando un effetto nuovo, mai sentito.
Questo ragazzo era Clive Campbell, in arte Dj Kool Herc che a livello mondiale è considerato il primo pioniere dell’Hip Hop, ma proprio a quella festa si trovavano anche altre due persone che segneranno la sua carriera e la cifra della cultura hip hop: Afrika Bambaataa, che contribuì a porre le basi dei principi etici del movimento, e Grandmaster Flash, che creò molte delle tecniche per lo sviluppo musicale del genere.
Lo Stradario Hip hop è sicuramente una guida approfondita per chi come me poco ne sa, è un modo per scoprire i protagonisti di questo mondo e della cultura su cui si fonda, io non nascondo per esempio, che se mi sono sentita attratta (da ragazza) dalla breacking (c’è stato un periodo in cui in palestra si faceva lezione di hip hop, una via di mezzo tra breacking e aerobica coreografata) e ancora adesso mi incanto con il writing, ho sempre avuto enormi difficoltà invece con il Rap, soprattutto italiano.
Lo Stradario hip hop è organizzato come una sorta di gioco, ci sono cinque atti che hanno un “intro” e un “outro” e hanno l’obiettivo di presentare le Quattro Discipline dell’Hip Hop (MCing, DJing, Breaking e Wiriting), io ho capito per esempio che quando si dice MCing è un po’ come dire rapper e ho scoperto alcuni super maestri della controcultura hip hop: Danno (pseudonimo di Simone Eleuteri), Poe One (Anne Decatur Danielewski) e il fu Phase Two (Michael Lawrence Marrow).
Essendo uno stradario, troviamo i boulevard storici, le avenue filosofiche, ma ci sono anche pericolosi incroci mortali e tunnel.
I temi trattati dalla cultura hip hop sono la segregazione razziale, le storie delle gang di strada, nella seconda metà degli anni 70 nel Bronx l’hip hop è il frutto di una tregua tra le gang e per questo si è portato dietro un messaggio di pacificazione, di integrazione.
Negli Stati Uniti conserva ancora le caratteristiche di “denuncia” anche nei confronti della politica, dopo l’elezione di Trump per esempio, alcuni rapper come Chuck D dei Public Enemy, Jeezy, The Creator e Mac Miller, hanno esplicitamente mostrato la loro contrarietà nei confronti del Presidente e delle sue idee molto poco a favore dell’inclusione sociale.
Stradario hip hop è un libro particolare, di sicuro io l’ho letto come saggio su una materia che non conosco, ma l’autore, Nexus (Giuseppe Gatti), ha profuso in questo lavoro tutta la sua esperienza, parte della sua storia personale:
“Questo libro è il frutto di una lunga stesura durata tre anni […] Ho usato tutto quello che avevo a disposizione: stralci di email, articoli di giornale e saggi accademici, pezzi di sceneggiatura, diari personali e appunti”
Ovviamente i cardini alla base della cultura hip hop si sono allentati negli anni, guardando alla sua espressione musicale, a quello che più comunemente oggi chiamiamo Rap, da profana e in riferimento al panorama italiano, mi vien da dire che forse sono tanti ad essersi impadroniti della “tecnica” ignorando completamente la cultura di base.
Cosa resta oggi dei fondamenti della cultura hip hop? Quanto lo show business ha contribuito a trasformarlo? Devo confessarlo, io davvero non reggo questa massa omogenea di artisti “trap” (l’ultima pseudo frontiera del genere) che mi sembra abbiano davvero poco a che vedere con quello che Nexus racconta in Stradario hip hop e non parlo di valori, di canoni musicali, quelli sono un vago ricordo… parlo proprio del fatto che se tutto è partito come inno alle differenze di razza, di cultura, economiche ecc., ora vedo una omologazione completa, un noioso piattume.
Cosa ho tratto da Stradario hip hop? Conoscenza di qualcosa verso cui nutrivo anche molti pregiudizi, ora sono più consapevole, so che ci sono alcune cose del mondo hip hop che possono piacermi ancora, così come sono sicura che il trap e i “trappisti”non mi piacciono.