Tra guerre, pestilenze e terremoti il mondo è proprio sempre lo stesso. O no? – Barbara Monteverdi su La Bottega del Giallo
di BARBARA MONTEVERDI per La Bottega del Giallo
Gennaio 1630. Samuele, ferrarese scampato sessant’anni prima a un terribile terremoto nella sua città natale e ormai trapiantatosi a Livorno, si trova a dover raccontare la sua storia di gioventù a un cavaliere che conosce altri pezzi del medesimo racconto, mentre stanno sorgendo le prime avvisaglie di un’epidemia di peste. Della serie: non facciamoci mancare nulla. E quanto a questo, aggiungiamo pure una scrittura piuttosto arzigogolata che rende benissimo l’atmosfera dei tempi narrati, ma non facilita la lettura.
Insomma, la storia inizialmente sembra cruenta (prima di arrivare a pagina 30 abbiamo già un agguato con duello cappa e spada che vede coinvolti 7 cavalieri), è perfettamente ambientata, ma necessita di una certa concentrazione.
Come si evince dal titolo, il pezzo forte del racconto è (o dovrebbe essere) la scacchiera, ma da questo punto di vista, niente paura: è meno invasiva di quanto si potrebbe supporre e non c’è bisogno di conoscere il gioco degli scacchi per apprezzare la trama, io stessa non ne capisco nulla ma ho trovato l’architettura narrativa non troppo complessa, anche se piuttosto spezzettata.
L’altro aspetto particolare del romanzo sono le precise e puntigliose narrazioni di usi e costumi della Corte ferrarese, con la descrizione estremamente precisa di un sontuoso pranzo, degli ospiti più o meno aristocratici ma tutti cafonissimi (almeno secondo il nostro vivere quotidiano) e l’indecorosa fine dovuta allo sfondamento del palco su cui era stata imbandita la procellosa mensa.
Il vero punto dolente della faccenda è che la storia non decolla: si è detto che nei primissimi capitoli c’è movimento, ma la trama sembra poi avvolgersi su se stessa e a pagina 130 (di 384 in totale) ancora ci si chiede dove l’autore andrà a parare, mentre continua a farci saltare dal 1570 al 1630 senza un attimo di respiro.
Arrivati a tre quarti del racconto, ecco cosa dichiara il protagonista:
Ora che i miei ricordi si scambiano di posto e giocano a rimpiattarsi come fanciulli (…) non distinguo più le storie romanzesche dalle quali avevo faticato a distogliere gli occhi e non so più se Angelica fosse una principessa del Catai o di Gerusalemme, né quali furono le imprese di Rinaldo e quali di Ruggiero, se Orlando amò Clorinda, e se fosse o meno Bradamante la bella musulmana etiope.
E se non ci si raccapezza lui, cosa può fare il povero lettore? E’ presto detto: prosegue la lettura senza chiedersi più una seppur minima spiegazione che lo possa orientare, subisce disfide poetiche e scacchistiche, impara qualcosa su Torquato Tasso (anche lui tra i protagonisti del libro), sul gioco degli scacchi rinascimentali e sulle vicende legate alla peste del 1629-1631.
Ma alla fine si appoggia sfibrato alla spalliera della poltrona, appesantito oltre modo dalla dovizia di argomenti e particolari, senza aver capito quanto questo tomo impegnativo lo abbia davvero arricchito.