Un romanzo noir per dissezionare il capitale – Alberto Prunetti su “il manifesto”
Alberto Prunetti – il manifesto – 11 dicembre 2024
Torna in libreria in Italia lo scrittore francese Serge Quadruppani con La breve stagione (Alegre edizioni, pp. 215, euro 16, traduzione di Maruzza Loria, postfazione di Wu Ming 1). Ma se nelle sue pagine cercate poliziotti dal cuore d’oro, avete sbagliato strada. Quadruppani scrive con la ghigliottina in tasca e sa che se si diventa uomini di lettere, lo si fa solo per camminare sulla testa dei re e dei loro sgherri, come scriveva un bardo secoli fa.
Impegnato da anni in un lavoro di dissoluzione collettiva delle forme autoritarie della nostra società, Quadruppani, tra una manifestazione di piazza e un’altra, è riuscito a scrivere alcuni dei romanzi più belli di quel filone francese che è capace di mostrarci come «scena del crimine» la legalità della società mercantile. Nei suoi romanzi, infatti, i poliziotti arrivano solo per inquinare le tracce e proteggere i potenti, e «i borghesi son tutti dei porci», come cantava un tipo che li ha frequentati bene, in altri tempi. Difficile immaginare la sua opera nello scenario editoriale italiano, pieno di festival del giallo con più uniformi sul palco che nella tre giorni della visita militare. Altra aria, decisamente ribelle, si respira invece in La breve stagione, un noir sul riflusso della scena post situazionista e gruppuscolare francese.
IL PLOT SI INNESCA negli anni Settanta: siamo nel sud della Francia, nella ricca e altoborghese Aix-en-Provence. Un gruppo di giovani ultragauchiste compie una serie di rapine. Colpiscono in maniera creativa, tra il gioco, la riappropriazione e la sfida violenta al potere. Ma ci scappa un morto e quello del loro gruppo che è un sottoproletario, Simon Lambrini, finisce a marcire in galera. Gli altri, che hanno un’origine sociale più privilegiata, scompaiono dai radar della polizia. E diventeranno, nel riflusso dei movimenti, loro stessi ricchi: diversi dai borghesi che odiano, seri e compassati, perché più disinibiti e gaudenti. Ossia diventeranno i nuovi ricchi degli anni Ottanta. Ma alcuni anni dopo, nei Novanta, Simon esce di galera e va a cercare i compagni di un tempo. Ha un piano, che poi va a rotoli ma produce effetti devastanti sulle vite degli antichi compagni.
È la comunità terribile che viene a fare i conti con i traditori degli ideali rivoluzionari? Oppure è l’oppresso di classe che regola i debiti con i compagni di una sinistra gentrificata? Tra le righe, leggiamo la fine degli ideali rivoluzionari degli anni Settanta, ma anche la speculazione immobiliare e turistica degli Ottanta. C’è la fine del sogno rivoluzionario e il tradimento degli ideali della giovinezza. Il consumismo e il rientro nei ranghi. Il desiderante che sognava la fine della società mercantile che diventa un compratore nello spettacolo delle merci. Il lettore dell’Homo Gemeinwesen di Jacques Camatte che finisce per fare il ristoratore di successo nell’epoca che trasforma in intellettuali organici dei nuovi quattrinai gli chef stellati. Il vogliamo tutto che si trasforma nel vogliamo comprare tutto.
E C’È ANCHE UNA QUESTIONE di classe. Non stupisce, visto che Quadruppani – lo apprendiamo da uno splendido memoir-pamphlet non ancora tradotto in italiano, Une histoire personelle de l’ultragauche,– ha lui stesso un background popolare e si è ritrovato nell’estrema sinistra degli anni «formidabili» da soggetto privo di capitale culturale e politico, al contrario di tanti leader dell’epoca, «prestigiosi rampolli della classe media che mimavano il rifiuto della società dei costumi», citando le parole de La breve stagione. Oggi che a settant’anni è un magistrale attivista dell’editoria (scrittore, ma anche traduttore e direttore editoriale) Quadruppani ci regala perle che donate agli italiani sembrano un po’ come quelle evangeliche d’un tempo. Certo, «i francesi non avranno il bidet», ma hanno un noir che disseziona il Capitale (non solo Quadruppani, penso ad esempio a Manchette). E noi, gonfi di sceneggiatoni di prima serata pieni di poliziotti buoni, dobbiamo solo ringraziare la sorte che ci permette di rileggere in italiano un romanzo fulminante, bello come un festival di gialli buonisti in fiamme, scritto da uno che scrive con la Comune di Parigi in testa e la canzone Le temps des cerises nel cuore.