Una storia del calcio argentino – Massimo Grilli dal “Corriere dello Sport”
dal Corriere dello Sport – Stadio
Osvaldo Bayer fu scrittore, sceneggiatore, giornalista e storico argentino, alcune sue opere sono considerate – a due anni dalla sua scomparsa – pilastri della storiografia di questo paese sudamericano.
Qui però si occupa di calcio, cosa che Osvaldo Soriano – che di pallone e letteratura si intendeva – non trova nella sua prefazione per nulla strano, perché «per quanto possa sembrare esagerato – scrive l’autore di “Pensare con i piedi” – nel rettangolo verde si porta in scena l’imprevedibile dramma della vita, e Bayer ci parla di questo».
Dunque ci troviamo di fronte ad una bellissima storia del calcio argentino, nata come raccolta di appunti per la sceneggiatura di un documentario sul fùtbol, andato in onda nel 1990, scritta con il piglio dello storiografo, con un punto di vista inevitabilmente orientato sulle dinamiche materiali della società argentina.
Ecco quindi i padri fondatori del calcio argentino, quei gentleman inglesi proprietari di ferrovie ed “estancias”. Nel 1867 la prima partita, a Buenos Aires (ma si trovarono solo sedici giocatori, per un inedito 8 contro 8), nel 1893 viene fondata l’Argentine Associated Football League. Ad un calcio di stampo anglosassone rispondono i locali, il primo club “di casa” è l’Argentinos de Quilmes. Lo sport si “creolizza”, diventa fenomeno popolare, la nazionale arriva seconda alle Olimpiadi del 1928 e soprattutto nel primo Mondiale della storia, due anni dopo.
Bayer racconta con un pizzico di nostalgia l’evoluzione del calcio argentino attraverso i suoi campioni, dal mitico Bernabé Ferreyra alla “Machina” del River Plate, stigmatizzando l’arrivo del professionismo e lo sfruttamento politico del pallone, che ebbe il suo culmine nel Mondiale casalingo del 1974, con il trionfo bissato nel 1986 in Messico, quando si chiude il libro.
«Il calcio è un gioco capitalista – scrive Bayer – perché si richiede sempre il rendimento, l’affanno di vincere, la superiorità. Ma è un gioco socialista, perché c’è bisogno dello sforzo di tutta la squadra, del mutuo aiuto per ottenere il trionfo». Nella ricerca comunque costante dei momenti di ribellione del calcio stesso, come fu in Messico la “Mano de Dios” di Maradona, una beffa proprio all’Inghilterra.