Descrizione
Rózsa. È il cognome di Eduardo, non ancora trentenne dirigente del Partito socialista operaio magiaro, o meglio, della sua organizzazione giovanile. È l’anno 1988, l’Europa è alla vigilia di sconvolgimenti epocali, ma pochi guardano l’orizzonte e capiscono. Eduardo forse è tra questi. Lo incontriamo a Bologna, dove si celebra in pompa magna il IX centenario dell’università. Rappresenta l’Ungheria a un meeting di giovani di mezzo mondo.
Padre magiaro e madre boliviana, Eduardo Rózsa Flores non è il tipico burocrate d’oltrecortina: spigliato poliglotta, anticonformista, recita poesie e canta a piena voce, ammalia gli interlocutori, li attira, li trascina con sé nel suo slancio vitale, nel fervore per questi tempi che stanno per cambiare. La caduta del Muro di Berlino è vicina, la fine dell’Urss dietro l’angolo. Che farà questo giovane comunista, nell’epoca che viene?
Alberto, studente dell’Alma Mater e alter ego dell’autore, trascorre con Rózsa una serata fatidica, che ricorderà per tutta la vita. «Take me / to the magic of the moment on a glory night», dirà la canzone che accompagnerà la svolta.
Pochi mesi dopo, Alberto incontra di nuovo Eduardo, stavolta a Budapest, durante una vacanza con l’Interrail. Cena a casa sua, conosce i suoi genitori. Poi gli anni e la distanza macinano i giorni: qualche telefonata, un pugno di cartoline, un rapido incrocio a Venezia che ha vaghi contorni di mito… I due non si vedranno mai più.
Nel 2009 la notizia appresa per caso: Eduardo Rózsa Flores è stato ucciso a Santa Cruz, in Bolivia. Un cerchio che si chiude male: nato in Bolivia, è morto in Bolivia come l’amato Che Guevara, ma – a quanto sembra – dall’altra parte della barricata: eliminato da forze speciali del governo socialista bolivariano. Era coinvolto, si vocifera, in un complotto di destra per attentare alla vita del presidente Evo Morales. È vero? E se è vero, com’è stato possibile?
Cos’era diventato il brillante Eduardo nei vent’anni da Bologna a Santa Cruz? La domanda si dilata e pulsa nella testa di Alberto, nel frattempo divenuto insegnante, marito, padre.
Bisogna provare a rispondere, bisogna cercare.
Eduardo: comunista anticomunista, patriota magiaro che per «solidarietà internazionalista tra nazionalisti» combatte a fianco dei croati in Jugoslavia.
Eduardo: convertito all’Islam durante una missione in Bosnia, «nemico dell’imperialismo», amico di «Carlos lo Sciacallo», e chi più ne ha più ne mette, ma più ne mette e più aumenta la confusione.
Eduardo: un rompicapo, letteralmente. Per Alberto, un aneurisma della memoria, con rischio di rottura vascolare.
La Controfigura è un regolamento di conti con una persona che ha tradito, e al tempo stesso il tentativo di capire chi e cosa sia stato tradito. Perché una cosa è certa, compagno: «a qualcuno devi chiedere scusa.
Devi chiedere scusa anche a me».
«Eduardo sapeva manipolare il passato. Il busto di Stalin, che teneva in camera da letto, l’aveva trasferito nel giardino della nuova casa. Ci aveva scritto sotto: “Vomitate qui”. E quando c’era una festa, gli invitati sbronzi potevano vomitare in faccia a Stalin».