Descrizione
Il 23 gennaio 1973, durante una manifestazione fuori dall’Università Bocconi, Roberto Franceschi, tra i leader del movimento studentesco milanese, è colpito a morte alla nuca da un proiettile proveniente dalle file della polizia. Inizia così la battaglia di Lydia, sua madre, per ricostruire l’accaduto e chiarire le responsabilità delle forze dell’ordine. Otterrà 23 anni dopo che lo Stato – incapace di identificare i colpevoli – si assuma l’intera responsabilità, risarcendo la famiglia, che devolverà tutto a una Fondazione intitolata a Roberto.
Un evento che spezza in due una vita incredibile che ha attraversato tutto il secolo. Nata a Odessa da Amedeo, comunista fuggito dall’Italia per non finire nelle carceri fasciste, e Lidia, italorussa che abbandona le proprie origini borghesi per sposare la causa della Rivoluzione, Lydia prese il nome dalla madre, morta misteriosamente pochi giorni dopo la sua nascita. Tornata in Italia col padre e rimasta orfana a dodici anni dopo che questi è ucciso dal cognato in camicia nera, cresce in solitudine e partecipa alla Resistenza come staffetta partigiana, diventa insegnante e poi madre di due figli. Fino a quel 23 gennaio che segnerà la seconda metà della sua esistenza.
L’antifascismo e la Liberazione, le lotte degli anni Sessanta e Settanta, il femminismo, piazza Fontana, piazza della Loggia, il terrorismo nero, gli abusi delle forze dell’ordine e la ricerca di verità e giustizia per le vittime politiche dello Stato sono i tasselli del mosaico narrativo che, di pari passo con la vicenda famigliare di una figura straordinaria, in un racconto collettivo di 23 autori, intreccia le sue memorie con documenti, materiale d’archivio e i ricordi di chi l’ha conosciuta: Franco Fortini (che le dedicò una poesia inedita), Joyce Lussu, Camilla Cederna, Isotta Gaeta, Franco Fabbri, Benedetta Tobagi, e molte altre e altri.
Una storia privata che raccontando una lotta collettiva lega il Novecento a oggi.
Ora la striscia è proprio rossa, rossa viva, capisco che se toccassi il marciapiede con una mano l’alzerei grondante di sangue; del suo sangue, di quello di Pinelli, di Ardizzone, dei cittadini di piazza Fontana, di Saltarelli, di Marino, di Varalli, di Zibecchi, di Lupo, di Serrantini e di centinaia e centinaia ancora. Ho freddo, mi sento un pezzo di carne congelata, come quella di mio figlio quando l’hanno restituito all’obitorio.