Descrizione
Da sempre in Italia in narrativa vale l’equazione lavoro + scrittura = letteratura industriale.
Eppure le opere di Ottieri e Volponi hanno colto del lavoro soprattutto gli elementi oggettivi ed esterni della classe operaia, concentrandosi su alienazione e catena di montaggio. Con l’aumento della conflittualità sociale, tra la fine degli anni Sessanta e i primi Settanta, alcuni scrittori di classe operaia inseriscono in quell’equazione un’incognita che permette di spiegare gli elementi soggettivi di questa classe: il vissuto, la vita quotidiana, il tempo libero. Tra loro colpiscono, sia in poesia che in prosa, autori come Luigi Di Ruscio, Tommaso Di Ciaula e Ferruccio Brugnaro. Subito ribattezzati in maniera un po’ naïve come «i selvaggi».
L’operaio pugliese Tommaso Di Ciaula dà alle stampe Tuta blu nel 1978 per Feltrinelli nella collana dei Franchi Narratori curata da Nanni Balestrini e Aldo Tagliaferri. Un romanzo-memoir-pamphlet che racconta l’industrializzazione a cottimo del meridione contadino con una penna rabbiosa e lucida, poetica e aggressiva. Il libro diventa un caso editoriale con svariate traduzioni all’estero. Viene anche adattato al cinema nel 1987 con Alessandro Haber nei panni del protagonista.
Quella di Di Ciaula è una scrittura con squarci lirici e invettive che colpisce l’ideologia lavorista dell’andare-camminare-lavorare assunta anche da una parte della sinistra. Procede per accumulazioni, lavorando di tornio attorno a questioni fondamentali come il contrasto tra mondo contadino e industriale o le nocività e gli infortuni di fabbrica, tra metallo arrugginito, orli di sole e spicchi di mare.
Un romanzo che con la fine della stagione della conflittualità operaia è stato spinto ai margini dell’industria editoriale e che ripubblichiamo perché pietra miliare della letteratura working class italiana.
Che cosa aspettiamo per mettere su queste macchinette le scimmie? Questo proporrei ad Agnelli: le scimmie in fabbrica e gli operai sugli alberi.